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Omaggio a Papa Paolo VI

Il 6 agosto del 1978, trenta anni fa, si spegneva a Castelgandolfo, in una Italia distratta dalle ferie, Papa Paolo VI (Giovanni Battista Montini 1897-1978), uno dei pontefici forse più grandi del secolo appena trascorso e pur tuttavia ancora oggi poco ricordato.

 
Papa Paolo VI
Il 6 agosto del 1978, trenta anni fa, si spegneva a Castelgandolfo, in una Italia distratta dalle ferie, Papa Paolo VI (Giovanni Battista Montini 1897-1978), uno dei pontefici forse più grandi del secolo appena trascorso e pur tuttavia ancora oggi poco ricordato. Egli – scrive Stefano Iorfida Presidente dell'Associazione Culturale Anassilaos che alla figura e all'opera del Pontefice dedicherà un incontro il prossimo 29 agosto - fu pastore della Chiesa Universale dopo le certezze granitiche di Pio XII e le aperture di Giovanni XXIII. Eletto Papa nel giugno del 1963, nel corso di in un conclave breve ma combattuto tra innovatori e conservatori, con il Concilio Ecumenico Vaticano II ancora aperto e da indirizzare, ebbe l'onore e l'onere di attuare l'intuizione rinnovatrice giovannea in un momento in cui la barca di Pietro era sbattuta tra gli scogli di quanti volevano tornare ai principi rigidi di Pio XII e di quanti volevano invece andare ben oltre i propositi di rinnovamento di Giovanni XXIII. Fu considerato, a torto, il Papa del dubbio, ma in realtà tenne ben al centro la barra della Chiesa. Era uno studioso, un teologo, un pensatore complesso ben consapevole del ruolo della Chiesa e del pontefice romano nel mondo. Fu il primo Papa che varcò i confini dell'Italia (primo viaggio in Terrasanta). Il primo a recarsi all'ONU, in America Meridionale, in Africa, in Oceania. Il primo a subire un attentato (a Manila). Fu il Papa delle encicliche difficili e contrastate, dalla "Populorum progressio" alla "Humanae vitae". Gli ultimi anni del pontificato furono duri. Lo amareggiarono le posizioni ribelli e scismatiche del vescovo Lefevre che non accettava il Concilio e quelle di segno opposto di Don Franzoni. Appartengono a quel tempo alcune sue riflessioni sulla presenza del male e del diavolo persino nei sacri palazzi. L'assassinio di Aldo Moro, che conosceva fin da quando era alla FUCI, fu uno shock terribile. Il 13 marzo partecipò a San Giovanni in Laterano alla messa funebre per lo statista – primo ed unico papa a partecipare ad una messa funebre per un uomo politico – e vi tenne una delle sua più alte e ispirate omelie, nella quale parve ad un certo punto persino rimproverare il suo Dio. "Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il «De profundis», il grido cioè ed il pianto dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui". Pochi mesi dopo se ne andava quasi in punta di piedi con la certezza di aver conservato il depositum fidei.
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