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Associazione Culturale Anassilaos - Incontro sulla figura e sull’opera di Don Primo Mazzolari

Chiesa di San Giorgio - Venerdì 17 aprile 2009 alle ore 19:30

 
Associazione Culturale Anassilaos - Incontro sulla figura e sull’opera di Don Primo Mazzolari
Alla figura e all’opera di Don Primo l’Associazione Culturale Anassilaos e le ACLI dedicano un incontro sul tema “Un prete scomodo ma anche un profeta della Chiesa e del cattolicesimo  democratico e sociale”  che si terrà venerdì 17 aprile 2009 alle ore 19:30 presso la Chiesa di San Giorgio al Corso con l’intervento del Dr. Franco Massara (ACLI) e l’introduzione di Don Antonio Santoro (Parroco della Chiesa di San Giorgio) e di Stefano Iorfida (Presidente Associazione Anassilaos).  “Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti”. Così , a proposito di Don Primo Mazzolari, ebbe ad esprimersi Papa Paolo VI nel corso di una udienza, alcuni anni dopo la scomparsa del sacerdote di Bozzolo, che egli aveva conosciuto allorquando da  Arcivescovo di Milano, nel 1957, lo aveva chiamato a predicare nella Diocesi nonostante le censure ecclesiastiche di cui era stato oggetto. Il 5 febbraio del 1959, due mesi prima della morte, avvenuta il 12 aprile del 1959, nel corso di una udienza concessagli da Giovanni XXIII, che era estimatore di Don Primo,  il Papa  lo accoglieva con calore, stupendo gli astanti,  definendolo "Tromba dello Spirito Santo della Bassa Padana". Così nell’ultimo anno della sua vita Don Primo Mazzolari ebbe la consolazione di un riconoscimento  e di un apprezzamento da parte del Pastore supremo della Chiesa dopo una vita intera trascorsa a spiegare, inutilmente, il senso della sua azione religiosa. “Don Primo fu un uomo leale, un cristiano vero, un prete che camminava con Dio, sincero e ardente. Un pastore che conosce il soffrire e vede lontano. Il suo giornale era la bandiera dei poveri, una bandiera pulita, tutta cuore, mente e passione evangelica” scrisse Papa Giovanni Paolo I (Albino Luciani) con riferimento anche al periodico Adesso, il quindicinale apparso per la prima volta il 15 gennaio del 1949, all’indomani della grande vittoria democristiana, che si riprometteva di pungolare il governo affinché andasse avanti sulla via delle riforme sociali senza cedimenti  alle pressioni reazionarie. Adesso incontrò subito l’opposizione dura dei circoli cattolici più conservatori per l’impegno di Mazzolari  volto a dare dignità ai poveri e tradurre il messaggio evangelico negli ordinamenti politici. Alcuni interventi, in particolare, colpirono le gerarchie ecclesiastiche. Dal momento che la difesa della povera gente attirava su Don Primo e su Adesso l’accusa di classismo egli più volte intervenne. “Se il parlar bene dei poveri è classismo –egli scrisse- noi siamo classisti”. Accusato quasi di filo comunismo si difese anticipando le posizioni che furono di Giovanni XXIII nella distinzione tra errore ed errante. “La chiesa, condannando il comunismo, ne condannava gli errori non la parte di vero e di buono che ci può essere nel comunismo” e ancora “Se il comunismo fosse soltanto un errore ideologico o una conventicola di capi in malafede, tutto sarebbe già stato detto: ma dietro l’idea, senza capirla, dietro i capi, senza fiducia forse, avanzano milioni e milioni di povera gente che porta, nella propria fatica onesta e mal retribuita, la speranza del domani. Io non mi sento di abbandonarli”. Già nel 1937, anno della famosa enciclica di Pio XI contro il comunismo, aveva scritto “Noi cattolici presentiamo soltanto il pericolo  sotto certi aspetti, incapaci di misurarne la spaventosa profondità e la minaccia tremenda. Come al solito facciamo gli oppositori superficiali, dimenticando la verità che il comunismo ci ha portato via” e nel 1950, a proposito della scomunica comminata da Pio XII al comunismo notava “il comunismo non è un fatto da liquidare con il luogo comune di un fiume in piena che abbatte gli argini, così come la scomunica non può essere ridotta all’immagine dio una diga”. Interventista durante la prima guerra mondiale che egli, al tempo, considerava come una sorta di catarsi spirituale e riscatto nazionale di fronte agli imperi centrali, nell’aprile del  1955 pubblicava,  anonimamente  il volume “Tu non uccidere” nel quale  affrontava l’atteggiamento del cristiano nei confronti della guerra criticando la dottrina della guerra giusta nel nome  della nonviolenza. Una posizione questa che nasceva dalla considerazione che la bomba atomica  aveva radicalmente modificato i termini stessi della considerazione della guerra. Nel clima della guerra fredda le posizioni di Mazzolari furono viste, sia a livello politico che a livello ecclesiastico, come un cedimento alle lusinghe pacifiste dei comunisti italiani e dell’Unione Sovietica.  Egli era consapevole di tali obiezioni (“Alcuni diranno che la nostra tesi sarà sfruttata dai comunisti.
Noi crediamo che non sia una ragione valida tacere una cosa che si sente di dover dire perché può servire la tesi avversaria”) ma rivendicava la coerenza cristiana  “Ci siamo accorti che non basta essere i custodi del verbo di pace, e neanche uomini di pace nel nostro in¬timo, se lasciamo che altri - a loro modo e fosse pure solo a parole - ne siano i soli testimoni davanti alla povera gente, la quale ha fame di pace come ha fame di giustizia” e in relazione “Certi movimenti per la pace non si svuotano ironiz¬zandone i riti o dileggiandone le iniziative; ma operan¬do noi concretamente, prima e meglio di ognuno, se¬condo il nostro stile e la nostra tradizione, la cui ric¬chezza di verità e di stimoli è tanto varia e originale da prestarsi ai più impensabili plagi perfino dal cam¬po comunista” e aggiungeva “Noi non ci sentiamo di condannare né di rifiutare nes¬sun onesto e sincero tentativo in favore della pace: vo¬gliamo soltanto ricordare a noi stessi che, come cristia¬ni, dovremmo essere davanti nello sforzo comune ver¬so la pace. Davanti per vocazione, non per paura”. “Il cristiano è un « uomo di pace »‚ non un « uomo in pace »: fare la pace è la sua vocazione” e quanto alla pace cristiana notava come essa fosse”ancora una pace crocifis¬sa: e le ragioni che si adducono per tenerla inchiodata sono altrettanto valide di quelle tirate fuori nel sine¬drio e nel pretorio per inchiodare il Pacifico”. Tenne sempre in grande valore la libertà e nei  confronti del fascismo, che proprio a Cremona aveva uno dei suoi capi, Farinacci, il rifiuto fu totale. “Degli avvenimenti – scrisse a Don Guido Astori nel 1922- ti dico solo che ho un’amarezza invincibile in fondo al cuore. Noi cristiani siamo stati sconfitti :il paganesimo ritorna, ci fa la carezza e pochi ne sentono vergogna”. Persino i Patti Lateranensi  non lo allietarono. Scrisse  sempre ad Astori nel 1929 parole che suonano critiche nei confronti  della mania concordataria che animò la prima parte del pontificato di Pio XI“Vorrei poter condividere la tua gioia. Non ci sono riuscito prima e non ci riesco neppure ora. Io non posso dimenticare le lezioni della storia:dai poteri assoluti e reazionari la Chiesa non ha mai guadagnato che umiliazioni, restrizioni di libertà e corresponsabilità tremende davanti ai popoli”. Ritornato dal fronte si rifiutò di tornare a insegnare in seminario. “Come posso – scrisse al’amico  Don Astori- riaprire la grammatica dopo quattro anni di stordimento mentale, durante i quali non ho mai preso in mano un libro di latino e di rado anche il breviario?” e si orientò verso la cura delle anime e la parrocchia mettendosi a disposizione del vescovo di Cremona Giovanni Cazzani (1867/1952), la cui vita e il cui operato si intreccia da ora in poi con la vicenda umana e spirituale di Don Primo che  trovò sempre nel vescovo un difensore sia all’interno della Chiesa, nei confronti dell’autorità  ecclesiastica, che all’esterno durante gli anni del fascismo, della guerra e della resistenza, e del dopoguerra. Comunque visse da sacerdote e in parrocchia fino alla morte e il suo impegno a favore della sua gente  non fu mai distratto dalla pure intensa attività di scrittore e pensatore. Non a caso,  qualche giorno fa, lo stesso Benedetto XVI ne ha esaltato la figura  sia di pensatore che, anche e soprattutto, di sacerdote  “Il cinquantesimo anniversario della morte di don Mazzolari - ha detto il Pontefice  - sia occasione opportuna per riscoprirne l'eredita' spirituale e promuovere la riflessione sull'attualità del pensiero di un così  significativo protagonista del cattolicesimo italiano del Novecento. Auspico che il suo profilo sacerdotale limpido di alta umanità e di filiale fedeltà  al messaggio cristiano e alla Chiesa, possa contribuire a una fervorosa celebrazione dell'Anno Sacerdotale, che avrà inizio il 19 giugno prossimo''. Nel giovedì santo del 1958, un anno prima della morte, tenne una omelia al cui centro pose  la figura di Giuda, il traditore, nella quale c’è tutto intero  l’uomo Mazzolari, il suo pensiero e la sua fede intensa che si offre ancora oggi a noi, credenti o meno, con la freschezza e l’attualità  di un frutto  primaverile “Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. E’ uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore” … “Povero Giuda. Una croce e un albero di un impiccato. Dei chiodi e una corda. Provate a confrontare queste due fini. Voi mi direte: "Muore l’uno e muore l’altro". Io però vorrei domandarvi qual è la morte che voi eleggete, sulla croce come il Cristo, nella speranza del Cristo, o impiccati, disperati, senza niente davanti”... “io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là”.
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