Fra pochi giorni, il 10 dicembre 2008, - scrive Tito Tropea, Presidente della Sezione Giovanile dellAssociazione Culturale Anassilaos in una nota - festeggeremo i
sessanta anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dellUomo
, approvata a Parigi nel 1948, dallAssemblea Generale delle Nazioni Unite con otto voti di astensione, il cui preambolo è opportuno ricordare: "LAssemblea Generale proclama la presente Dichiarazione Universale dei Diritti dellUomo come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della Società, avendo evidentemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con linsegnamento e leducazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne , mediante misure progressive di carattere nazionale ed internazionale, luniversale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione". Qualche mese prima, in un famoso discorso, Eleonore Roosevelt, la moglie anticonformista del Presidente USA scomparso nel 1945, che tanto si era adoperata per essa, laveva definita la Magna Carta dellUmanità. Oggi rileva Tito Tropea - a sessanta anni di distanza, affrontare un discorso sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dellUomo non è certo semplice. E infatti un argomento che presenta diverse sfaccettature e pone diversi problemi sotto molteplici punti di vista. Limportanza e lattualità di questo documento è evidente, soprattutto in relazione ai drammatici eventi che hanno caratterizzato il Ventesimo secolo e continuano a caratterizzare i primi anni del Ventunesimo. La Dichiarazione venne infatti proclamata in un quadro storico-politico chiaro. Gli Stati e la popolazione di tutto il Mondo erano appena usciti dalla Seconda Guerra Mondiale, un conflitto che aveva provocato immani perdite umane e materiali e fu caratterizzato dalle atrocità della Shoah e da tutta una serie di violazioni compiute in barba alle vigenti convenzioni internazionali. Sembrò dunque naturale e moralmente obbligatorio intervenire affinché in seguito non avessero a ripetersi gli stessi orrori. Partendo da tale considerazione è evidente, nota Tropea, che la stesura del Documento presenti una forte componente giuridica. Alla base del II Conflitto Mondiale ci fu, in diversi casi, un processo di degenerazione e deformazione dello Stato che portò compagini statali dalle illustri tradizioni culturali, giuridiche e filosofiche (pensiamo alla Germania) quasi ad una sorta di legalizzazione della violenza e della brutalità. Compito dellAssemblea Generale delle Nazioni Unite fu allora quello di redigere un documento di valore universale e transnazionale che fungesse da fonte e da vincolo per tutti gli stati del mondo, qualunque fosse il loro ordinamento. Nei trenta articoli di cui si compone la Dichiarazione appare chiaro lobiettivo di tutelare la libertà e la vita dellindividuo, al di là del sesso e degli orientamenti culturali e religiosi, inteso sia come uomo che come componente della società. Sessanta anni dopo scrive il Presidente dellAnassilaos Giovani è legittimo chiedersi se la Dichiarazione è veramente servita, dato che assistiamo continuamente a tutta una serie di violazioni di diritti che pure la Carta ha enunciato, e se i principi enunciati sono realizzabili concretamente oppure afferiscono più allutopia che alla realtà. La risposta non può che essere positiva. I concreti atteggiamenti degli stati o degli individui non sempre nel corso della millenaria storia dellumanità si sono uniformati ai principi più nobili e più alti ma se questi principi non esistessero o non fossero enunciati e ad essi non si tentasse di uniformarsi sarebbe anche peggio. Il valore della Dichiarazione è dunque evidente anche se nel frattempo nuove esigenze si sono manifestate - e di esse occorre tener conto -, e occorre sciogliere alune incongruenze e ambiguità.
Un compito che tocca alle più giovani generazioni, a noi giovani del terzo millennio, per non dissipare il lascito che i nostri padri ci hanno lasciato e per impedire che le tragedie della storia abbiano a ripetersi.