Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, quaranta anni fa, un esercito di forse 600.000 uomini e 7.000 veicoli corazzati, composto da soldati sovietici e dai loro alleati del Patto di Varsavia (Polonia, DDR, Ungheria e Bulgaria), con leccezione della Romania, invadeva la Cecoslovacchia mettendo fine alla cosiddetta primavera di Praga e alla illusione che fosse possibile realizzare nei paesi del socialismo reale, quelli liberati (?) dalle truppe sovietiche nel corso degli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, un comunismo dal volto umano. Così sulla bellissima e civilissima Praga, carica darte e storia, calò il silenzio della dittatura. Questo anniversario, spiega il Vice Presidente dellAssociazione Culturale Anassilaos Paolo Morabito, che costituisce una delle pagine più buie della storia europea della seconda metà del Novecento, sarà ricordato giovedì 21 agosto presso il Chiostro di San Giorgio alle ore 21,00 in apertura dellincontro programmato (Per una interpretazione di Pinocchio di Carlo Collodi: Pinocchio e la teologia.Conversazione dellIns. Maria Votano) che avrà inizio alle 21,30, con un omaggio anche dellAnassilaos Giovani, presieduta da Tito Tropea, a Jan Palach, lo studente ventunenne che pochi mesi dopo si diede fuoco, insieme ad altri sette amici, per ricordare al mondo la condizione del suo Paese. Il tentativo di Dubcek ricorda Morabito - era daltra parte destinato al fallimento. Allorchè nel gennaio del 1968 egli sostituì alla carica di primo segretario del partito comunista il conservatore Novotny, sulla spinta anche occorre dirlo a onore degli intellettuali- di quel movimento politico e culturale che aveva indotto, in occasione del VI Congresso degli Scrittori di Praga del 29 giugno 1967, numerosi partecipanti a chiedere, con coraggio (e ce ne voleva tanto), la liberta di stampa, si provò subito ad aprire un cauto processo di democratizzazione della società sopprimendo la censura (5 marzo), eleggendo L. Svoboda a Capo dello Stato, abbandonando il centralismo economico. Laccelerazione di tale processo, impressa ancora una volta dai firmatari del cosiddetto Manifesto delle duemila parole, preoccupò i Sovietici, la cui politica estera, basata sulla dottrina Breznev, si fondava sullimposizione negli stati satellite di governi di stile sovietico, che videro a rischio lintero sistema di alleanze politico-militari costruito dallArmata Rossa. In tale situazione rileva Paolo Morabito- era evidente che i tentativi di Dubcek, volti a rassicurare i Sovietici e i loro alleati, erano destinati a fallire. Ogni resistenza fu inutile anche se, soprattutto i giovani, con sprezzo del pericolo, forti della forza del diritto, armati solo del loro coraggio, in quei terribili giorni provarono ad affrontare i carri armati tentando una resistenza simbolica. Il 1989 era comunque ancora lontano e la disperazione di alcuni giovani praghesi condusse il 16 gennaio del 1969 pochi mesi dopo linvasione al sacrificio del ventunenne Jan Palach (era nato nel 1948), uno studente di filosofia che il 16 gennaio del 1969 dopo essersi cosparso il corpo di benzina in piazza San Venceslao a Praga, si appiccò il fuoco con un accendino. Poco distante furono trovati i suoi appunti, tra i quali uno scritto che suona come un testamento politico e spirituale: "Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana . Altri sette studenti, tra cui lamico Jan Zajíc, seguirono il suo esempio e si tolsero la vita. La libertà nota, a proposito di Jan Palach, Tito Tropea, Presidente dellAnassilaos Giovani, che ne ricorderà la figura è un valore assoluto che talora può anche comportare il sacrificio supremo della vita. Essa non è mai una conquista definitiva perché la storia talora si prende gioco degli uomini. Per Palach, giovane eroe dei nostri tempi, suicida per la libertà, vengono in mente le parole che Dante (Purgatorio, Canto I) dedica a Catone Uticense libertà va cercando, ch'è sì cara,come sa chi per lei vita rifiuta. Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara.